Un discepolo del Veggente di Lublino decise un giorno di digiunare da un sabato all’altro. Ma il pomeriggio del venerdì fu assalito da una sete così atroce che credette di morire. Individuata una fontana, vi si avvicinò per bere.

Ma subito si ricredette, pensando che per un’ora, avrebbe distrutto l’intera fatica di quella settimana. Non bevve e si allontanò dalla fontana.
Se ne andò fiero di aver saputo trionfare su quella difficile prova; ma, resosene conto, disse a se stesso:
“È meglio che vada a bere, piuttosto che acconsentire al mio cuore di soccombere all’orgoglio”.
Tornò indietro, si riavvicinò alla fontana, quando si accorse che la sete era scomparsa.

Alla sera, arrivò dal suo maestro.
“Un rammendo!” esclamò lo zaddik appena lo vide sulla soglia.

Com’è possibile essere rimproverati per una simile lotta interiore?
Oggetto del biasimo è il fatto di avanzare e poi indietreggiare; è l’andirivieni, il processo a zigzag dell’azione che è opinabile.
L’opposto del “rammendo” è [infatti] il lavoro fatto di getto.

Come realizzare un lavoro in un sol getto?
Non in altro modo che con un’anima unificata.
E questa unificazione deve prodursi prima, che l’uomo intraprenda un’opera eccezionale. Quello che si fa, va fatto con tutte le membra, cioè bisogna coinvolgere anche tutto l’essere corporale dell’uomo, nulla di lui deve restare fuori.

Quando l’uomo diventa una simile unità di corpo e di spirito insieme, allora la sua opera è opera d’un sol getto.

(segue >>>)


Liberamente tratto da: Martin Buber, Il cammino dell’uomo – Risolutezza, Edizioni Qiqajon,1990, pp.33-46

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