Prendiamo spunto dal post di Salvatore Brizzi, del 20 marzo, a proposito dell’emergenza, in questo tempo sospeso, che tutti noi, persone più o meno superficialmente sane, stiamo vivendo. L’articolo termina con queste parole:

[…] per la maggior parte delle persone il venire costrette a far emergere ciò che è nascosto significherà scivolare nella follia […]: qualcuno entrerà sempre più all’interno di sé mentre qualcun altro non reggerà alle continue crisi ed emergenze dei prossimi anni e impazzirà.
Voi da che parte state? Buon lavoro a tutti. S.B.

Concordiamo in toto. L’analisi di Salvatore ci conduce a un bivio. E la domanda, che ci facciamo noi, allora, è la seguente. Che cosa ci farà prendere una strada invece che l’altra? Che fare, o chi essere, cercando di rimanere vitali, senza farci prendere dal panico, ma anzi sfruttando questo momento catartico, per iniziare la nostra trasformazione, interiore ed esteriore?

Perché, prima o poi usciremo, sì, da questa quarantena, ma anche noi conveniamo con Brizzi che altre crisi seguiranno, proprio come un effetto domino, e, quindi, probabilmente, la distanza che intercorrerà tra una crisi e quella successiva sarà tanto più ravvicinata, quanto meno sostenibile psicologicamente, se, nel frattempo,  non trasformiamo profondamente, il nostro sguardo verso la vita, verso noi stessi e chi sentiamo di essere.  Se restiamo immobili a ricercare i vecchi ancoraggi e le antiche identificazioni, che non saranno più possibili, avremo, allora, seri problemi di identità.  E di qui, alla follia, il passo è breve, appunto.

Se manteniamo un atteggiamento della persona adulta e “normale”; se ci blocchiamo nell’identità che, di fatto, ci ha condotto in questo scenario, che si sta disfacendo; se speriamo con tutte le nostre forze di ritornare alla normale follia di prima, beh, allora, avremo grosse difficoltà esistenziali. Rimanere identificati all’identità pre-virus, comporterà grandi problemi di sopravvivenza, a livello personale. E non per scarsità di risorse, quanto piuttosto per la disgregazione, percepita, della nostra falsa identità. Esterno e interno che si rispecchiano, nel loro rispettivo e progressivo disfacimento.

Reinventarci non sarà un’opzione, allora, ma la condizione stessa del vivere una quotidianità inedita. Dovremo iniziare a ripensarla, e a ripensarci profondamente, trasformarci, con lo stesso atteggiamento che un bambino ha nei confronti del suo nascere all’esperienza e alla vita. Una vita totalmente altra.
Ecco, l’atteggiamento del bambino, curioso, desideroso di novità, aperto alle potenzialità del vivere, costitutivamente creativo, dovrebbe essere, forse, l’atteggiamento da adottare con grande vigore, fin da subito, quando ancora abbiamo tutto quello che ci serve per poterci ripensare, rifondarci, ricostruirci. Partendo da dentro, dalla nostra interiorità. Che dovremo ridefinire completamente. Autenticamente. Con fiducia nella vita, perché tutto questo, probabilmente, sta accadendo proprio per noi. Per darci uno scossone esistenziale. Per farci evolvere. Per chi lo desidera davvero, naturalmente. Crisi universale. Una grande opportunità, in fondo. Anche se non sarà, proprio, come ce la raccontava certa New Age.

 


Crediti immagine: www.verticaldistict.com

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