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La Mente, l’io linguistico, l’Osservatore

Eccoci di nuovo insieme. Tutto ok! Riprendiamo la nostra conversazione, dopo questi inutili colloqui con questi pseudo-umani. Poverini, davvero. Loro fanno il loro mestiere, in fondo. Ma io non mi faccio fregare! So bene che stanno cercando qualche appiglio oggettivo, con i loro test tecno-assistiti, per mandarmi stabilmente nel reparto chiamato qui, da tutti noi, la Caienna, un vero e proprio psico-penitenziario. Il reparto speciale, insomma, dove una volta entrato, non ne esci più, o, se ne esci, non sei più tu…
Ma non sanno con chi hanno a che fare… Eh, no!

La storia, vi dicevo, la Vera Storia – anche se, devo confessarvi, la conosco ancora purtroppo molto superficialmente – è, nonostante tutto, veramente di una bellezza e di una poesia stupefacente… da paura! Non ho parole per farvi intuire l’eccezionale bellezza e perfezione di tutto il sistema! Realtà e Rappresentazione, insieme!

Tornando a noi. Vi devo raccontare della mia terza acquisizione – sempre che ci sia ancora qualcuno, lì fuori, che abbia curiosità di ascoltarmi – per valutare, poi, se, alla fine, non dico che mi dobbiate dar ragione, ma almeno avervi indotto qualche perplessità, o sollevato qualche dubbio sulle vostre certezze di normalità. Accennavo prima, da qualche parte, della distinzione necessaria tra io e me che vorrei riprendere alla luce di quanto detto a proposito dell’interno-esterno. Quanto segue è in parte frutto di mie attuali elucubrazioni, un work in progress, quindi prendetelo con le pinze. Non si tratta di rivelazione o trasmissione di un sapere. No. Solo frutto di ragionamenti. I miei studi di questi ultimi anni. Quello studio e quelle idee che mi fanno tanto alieno agli occhi dei più, così fuori dallo standard, da dover essere isolato e controllato. Chissà perché poi la diversità fa così paura…

Il corpo fisico, non l’ho ancora detto, ha una componente fondamentale, una feature che serve all’anima per interagire – seppure inconsapevolmente fino all’apoteosi o alla dissoluzione – col Mondo della Rappresentazione. Dove si compie il viaggio dell’anima, che consiste, come abbiamo detto, nel fare esperienza, nella quotidianità. Questa componente si chiama Mente.
Attenzione. Qui sto impiegando un nome comune, ma che riveste un carattere tecnico all’interno della Vera Storia. La Mente, come componente del corpo fisico, termina anch’essa con il termine del corpo fisico, la morte. Senza entrare in dettagli operativi, inessenziali qui, posso solo dire che la Mente è un vero e proprio sistema distinto dal corpo fisico, che traduce quanto percepito in segnali significativi e li passa all’anima. Per converso, traduce in emozioni i segnali provenienti dall’interno, dall’anima stessa.

Attraverso la Mente però, se utilizzata malamente, come nel caso della nostra educazione – o edu-castrazione come qualcuno la definiva tempo fa – si produce, nei primi vent’anni circa di attività, un ente particolare. Eh, sì. Sto parlando dell’io linguistico, quello che, come in questo momento, sta scrivendo al mio posto. E che crede addirittura di essere l’autore di quello che fa. Crede di decidere, addirittura!
La sua caratteristica è quella di esistere grazie alla sua ostinata capacità di negare.
Dire «no!» per questo ente è il modo per costituirsi. Per darsi vita e continuare a esistere. Nell’incessante contrapporsi a ciò che considera esterno a lui, e nel continuo conformarsi e corrispondere al modello sociale in cui è immerso. Cosa è bene fare e cosa invece è disdicevole. Cosa è bene essere e cosa no. In continuo e perenne giudizio. Nel gioco del «mi piace» o «non mi piace». Questa entità, così finta, ma potente al contempo, è stata prodotta da me, attraverso il processo naturale dell’imitazione, che sin da bambino ho inconsapevolmente compiuto; apprendendo tutto ciò che c’era da apprendere dall’ambiente che mi circondava. È proprio in quest’attività incessante di separazione, che si sostiene l’io linguistico. È il suo modo per continuare ad esistere. Sempre negando in continuazione e contrapponendosi a tutto ciò che definisce e considera non-io, ovvero quello che lui definisce il mondo esterno. Quest’io che permane proprio grazie a questo continuo e assillante processo di distinzione. Un’auto-conversazione che non ha mai fine. Un vero e proprio io-chiacchierante continuo.

Ma io sono solo l’io linguistico? Quello che chiacchiera? L’io del linguaggio? O sono anche altro? E voi, voi chi siete? Chi ritenete d’essere? Siete gli autori del vostro fare o ne avete solo e semplicemente la sensazione? E ce la stiamo, in fondo, tutti quanti raccontando?

Avete capito dove voglio arrivare, no? Tutti voi, persone normali, siete identificati con questo bel personaggio… cosa che sta accadendo anche a me, troppo spesso, purtroppo. Ma ci sto lavorando. Sto inventando delle tecniche interessanti al proposito…

Riprendiamo allora per un momento la mia prima acquisizione, «come è dentro così è fuori», ricordate? E chiediamoci, in questo quadro, dove mettere il famoso limite tra il dentro e il fuori.
Domanda oziosa?
Direi proprio di no. Può sembrare evidente che qui dentro sia tutto ciò che è all’interno del mio corpo, delimitato dalla mia pelle, in prima battuta. Un limite apparentemente naturale, che sembra confinare il là fuori. Ma, a ben vedere, con uno sguardo appena un po’ più sottile e attento, devo riconoscere il fatto che anche parte del mio corpo, almeno tutto quello che posso vedere di me, anche senza uno specchio – le mie mani che pigiano sulla tastiera, le braccia, il tronco, le gambe, per non dire del naso, così presente, ma altrettanto ignorato nel nostro quotidiano schermo visivo, e così via – fanno tutte parte del là fuori, no? E in effetti, allora, il mio senso del qui dentro arretra, rimpicciolendosi, fino ai localizzarsi nella testa, dietro agli occhi, forse nel loro centro geometrico, leggermente spostato indietro… proprio dove sembra che vada a finire l’ascolto della mia amata musica.

Ma, allora, anche il mio corpo fa parte dell’esterno? E se anche lui può essere esternalizzato, io, che fine faccio? Dove sono? Il problema del confine, così apparentemente ovvio e naturale in prima battuta, torna a diventare sfumato. Di non facile soluzione.
Proviamo allora a ragionare in questo modo. La localizzazione tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, dicevamo. Seguitemi. Durante un’esperienza, una qualsiasi esperienza della mia quotidianità, posso distinguere nel processo percettivo una parte che è stabile, fissa, inalterata, quella parte, cioè, che non solo non cambia, ma genera quel punto di vista così specifico, proprio mio, che posso chiamare l’Osservatore. Anzi è quel punto di coscienza che, forse, genera il senso… di tutto! E che è percepibile nell’atto dell’osservare un osservato. L’osservato. Tutto ciò che, invece, varia, si modifica. Compreso il mio stesso corpo. Ciò che vedo là fuori, appunto. Il mondo delle cose e delle persone, delle piante e degli animali. La natura. Il giorno e la notte, il cielo e le stelle… tutte cose che sono viste, significate da questo particolare punto di consapevolezza che in realtà sono.

Bene. Proviamo adesso a mettere insieme i pezzi. Siamo arrivati al punto in cui l’Osservatore è un punto di consapevolezza, fisso, stabile. E che non è alterabile in nessun modo. Mentre abbiamo detto che la Mente è il trasduttore che permette all’anima di relazionarsi col mondo esterno, corpo compreso, attraverso il riconoscimento di forme distinguibili.
Ma allora è lei, la Mente, dico, quella che mi mette in condizione di auto-percepirmi (come anima?) nel punto di consapevolezza, di dimensioni apparentemente infinitesimali. E di qui, in questo rispecchiamento adimensionale, ma essenziale, esistenziale, c’è quello che sento essere il senso più proprio del me, l’Osservatore del/nel processo dell’esserci. Auto-percezione rivelata attraverso la Mente in azione?

Attenzione. C’è qui una sottile distinzione che vorrei provaste a sentire. L’io linguistico, quello della separazione, per intenderci, l’io-che-sta-scrivendo queste note o che-le-sta-leggendo, insomma, è distinto da quell’altra esperienza, per quanto flebile, che ho chiamato Osservatore o punto di coscienza.
Non sembra anche a voi? Un io linguistico, quindi, separato – per quanto impercettibilmente – dall’io più vero. Più profondo, più intimo. Quello che chiamo spesso: me. L’operatore. Colui o quella cosa che fornisce il senso di tutto ciò che mi accade e che in ultima analisi è il vero percettore. Qui, infatti, accade la percezione sensoriale… o meglio viene significata. Non siete d’accordo con me su quest’esperienza? La potete sentire? Sottilissima, certo. C’è come una differenza appena distinguibile tra l’io corrente, quello che utilizza, quasi sempre in modo inconsapevole, la parolina io nei discorsi di tutti i giorni e il me-che-percepisce-un-senso e al limite arriva, quasi, a percepire sé stesso, nell’atto di percepire un osservato. E qui l’osservato è definitivamente tutto ciò – corpo fisico compreso – che è diverso dal punto di consapevolezza stesso. Ferma restando la distinzione tra esperienza e descrizione linguistica dell’esperienza.

Ma, allora, in me vagano diverse entità che, confondendole, chiamo tutte indifferentemente io. Escludendo il mio inconscio e subconscio, o mente collettiva, mente genetica, chiamatela come volete. C’è quindi l’io-che-chiacchiera-e-che-giudica, quello del «mi piace» o «non mi piace». Che è anche situazionale, ovvero assume diverse personalità in funzione dell’ambiente in cui opera. Le sub-personalità di Assagioli, tanto per intenderci. E la cui esistenza è data – come abbiamo visto – dall’incessante attività, che produce separazione. E poi c’è quel qualcosa, l’Osservatore, appunto, quel punto di consapevolezza, o autocoscienza, o senso del me, decisamente sfuggente per l’io linguistico, ma che in definitiva sento essere distinto da quest’ultimo. Ed è colui che percepisce, colui da cui emanano i significati, colui che guarda imperturbato il senso di tutto ciò che accade attorno a me e dentro di me…

Ma allora, l’Osservatore, il punto di consapevolezza, che in modo sottile a volte riesce ad auto-percepirsi, può essere considerato il punto di contatto con il Mondo Reale, con l’Oltre? O almeno con quella parte di Oltre che è qui nel Mondo della Rappresentazione e che sta cercando, attraverso il viaggio, il movimento, l’esperienza… sta cercando di scoprire la sua propria identità?
Una consapevolezza che può percepirsi – se così posso dire – nell’atto stesso di essere consapevole di osservare qualcosa che sia distinto, separato da sé.

Ci siete? Anche solo un po’? Attenti, allora! Potreste trovarvi a percorrere una pericolosa china, che vi porta fuori dal consesso dei sedicenti normali. Quelli che dovrei chiamare, invece, col loro vero nome: conformisti!

Mi sembra chiaro – a questo punto – il ruolo determinante che gioca la Mente, quella della Vera Storia intendo, in tutto questo caos. Il posto che le compete. La Mente, la chiave di un nuovo paradigma interpretativo. E di tutto quello che ne consegue…

(Continua…)

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Allucinazioni quattro