Cos’è importante, oggi, in questi tempi sospesi? Per noi cittadini fortunati, che sentiamo il fastidio di una clausura forzata, ma che non abbiamo, in fondo, alcuna percezione della guerra, che i tanti stanno combattendo in prima linea, là, negli ospedali, nei presidi allestiti apposta per l’emergenza.

Per noi, che cosa è davvero importante? Ti svegli la mattina, sollevato dalla ruota veloce della tua impegnativa quotidianità, della precedente vita normale, e ti ritrovi, finalmente, costretto a riflettere, almeno un po’. Su te stesso. Iniziare ad ascoltarti, così, semplicemente. E a vedere le cose là fuori in modo un po’ diverso da prima. E stamani, a me, è sorta la domanda in apertura. Che cosa è veramente essenziale, adesso?

Farsi una doccia, aprire il rubinetto e far uscire dell’acqua calda, alla giusta temperatura, il profumo del tuo sapone preferito, il morbido della schiuma dello shampoo. Accendere il computer, la finestra sul mondo, e decidere quali vie virtuali percorrere. Ti colleghi alla rete e sei proprio lì, dove intendevi essere, mentre, magari, in cuffia, ascolti la tua musica preferita.

Accendi un interruttore e la luce è. L’elettricità! Ma ci rendiamo davvero conto delle cose che stiamo dando per scontato? Cose che sono, invece, una grande meraviglia, e che dovrebbero renderci, non dico felici, ma almeno consapevoli della qualità della nostra vita quotidiana, nei suoi gesti più elementari, rispetto a tanta parte della popolazione mondiale che queste cose proprio se le sogna.

E il quotidiano coraggio degli umili, dei trasparenti, di coloro che permettono la maggior parte dei nostri gesti quotidiani, così scontati, quanto essenziali. Dagli ignoti manutentori dei sistemi elettrici, idraulici, fognari, a tutti coloro che rendono la vita di una città possibile. Come coloro che puliscono le strade e raccolgono la spazzatura. Gesti semplici, umili, trasparenti, quanto indispensabili, che, però, dicono molto dell’interdipendenza sistemica, strutturale, essenziale, presente dei nostri gesti quotidiani.

E in questo periodo sospeso, il mio pensiero va proprio a queste persone normali, che continuano a rendere possibile la vita nella comunità che abito. Anche adesso. Il conducente del TIR che rifornisce il supermercato, la commessa che, con la mascherina, mi aiuta con gentilezza a riporre gli acquisti nella busta, il distributore di benzina, il tabaccaio, e così via.

Tutto mi sta parlando di interconnessione. E della futilità dell’accumulo. Quell’insensata azione che, a ben vedere, comporta un disagio esistenziale profondo per chi lo attua, il quale nega proprio questo fatto inestricabile, attraverso l’illusione della separazione. Lo stretto legame costitutivo che c’è, anche, tra ciò che è dentro e ciò che è fuori di noi. Natura compresa, ovviamente. In una parola anglosassone ormai entrata nell’uso comune: entanglement.

 

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Cose importanti