Mai titolo fu più adatto, per un post. Acquistare un libro, e per di più tentarne un commento, solo perché folgorati dagli ultimi paragrafi di un tomo di seicento pagine, esclusi note e indici. Un fatto, come minimo, atipico.

A noi è accaduto. Perché in queste diciannove righe abbiamo percepito – condensato splendidamente – quanto ci sta a cuore: interpretare il presente per prefigurarne l’immediato futuro. Il futuro prossimo, quello che è dietro l’angolo… Anche se poi – riflettendoci un po’ – è comparsa un’altra immagine. Chiara. Sintetizzabile in una domanda. Siamo più di 7 miliardi di persone, 400 milioni, più o meno, nella sola Europa occidentale, ma siamo tutti situati veramente nello stesso tempo?

Nello stesso spazio, considerando l’intero pianeta vivente, la benamata Gaia, diremmo senz’altro di sì. Siamo tutti qui, sulla Terra. Ma siamo tutti nello stesso tempo1? O c’è chi è più avanti e chi lo è meno? Ci sono aree del pianeta in cui, per certi versi, l’orologio della storia s’è fermato al Medioevo, seppure telefonino-munito, e altre in cui la storia, come storiografia, non è forse neppure mai nata. Mentre altre ancora, come la nostra civiltà occidentale, quella della globalizzazione, appunto, appare tutta sincronizzata, non fosse altro per la dipendenza totale, per quanto invisibile, dall’orologio, che scandisce le nostre vite con meccanico rigore. Ci sembra di vivere tutti nello stesso istante di tempo, scandito ormai con una precisione che dire svizzera sembra un eufemismo… A questo proposito, in una recente trasmissione radiofonica, ascoltavamo come l’orologio atomico, nato per regolare i micro-istanti che compongono il secondo, non ci basta ormai più. A causa della rapidità con cui le telecomunicazioni e le reti informatiche ci costringono oggi a vivere. Interconnessi e sincronizzati ad un tempo richiesto e imposto dall’informatica.

Ma torniamo alla nostra ipotesi di multi-temporalità. Quella che vedrebbe la coesistenza di diverse persone, apparentemente sincronizzate, tutte nello stesso tempo, ma che in effetti non lo sono affatto. Con uno sguardo più attento, riusciamo a cogliere una sorta di differenza temporale anche qui da noi. Nella cosiddetta società civile, la nostra civiltà globale e globalizzante. Qualche esempio. Una persona, qui da noi in Italia, che non è in grado di mettere le mani su una tastiera di computer, o che non riesce ad utilizzare appieno – nel bene e nel male – la Rete, in tutte le sue sfaccettature e dimensioni, con un sano discernimento personale, o che si avvalga di un’informazione che prende per oggettiva, quindi per vera, solo perché trasmessa dalla tv, senza applicare un minimo di giudizio critico… Ebbene a noi pare che questi possano essere esempi traducibili in una sorta di desincronizzazione temporale. Senza esprimere giudizi di valore sui diversi comportamenti. Solo per semplificare, per dar corpo alla nostra idea di scarto temporale2, immagine apparsa alla nostra mente nel leggere questi pochi paragrafi.

Ci siamo chiesti, infatti, quanti lettori, oggi, fossero in grado di cogliere davvero tutta la portata di queste poche, ma potenti righe conclusive. Quanti avessero cioè la capacità di imprimersele davvero in memoria, come l’autore stesso ci chiede.

La nostra risposta? Solo coloro il cui orologio personale batte allo stesso tempo dell’orologio dell’autore. Che è decisamente avanti. Ben oltre la media dei nostri ‘orologi più aggiornati’. Autore che, giunti a questo punto, è opportuno svelare: Y.N.Harari.

[…] se vogliamo guardare allo sviluppo della vita in maniera davvero ambiziosa e lungimirante, tutti gli altri problemi e cambiamenti saranno messi in ombra da tre processi interconnessi:

  1. La scienza sta convergendo verso un dogma onnicomprensivo, che sostiene che gli organismi sono algoritmi e la vita è un processo di elaborazione dati.
  2. L’intelligenza si sta affrancando dalla consapevolezza.
  3. Algoritmi non coscienti e inconsapevoli ma dotati di grande intelligenza potranno presto conoscerci meglio di quanto noi conosciamo noi stessi.

Questi tre processi sollevano tre questioni chiave, che spero si imprimano nella vostra mente a lungo dopo aver letto questo libro:

  1. Gli organismi sono davvero soltanto algoritmi, e la vita è davvero soltanto elaborazione dati?
  2. Che cos’è più importante: l’intelligenza o la consapevolezza?
  3. Cosa accadrà alla società, alla politica e alla vita quotidiana quando algoritmi non coscienti ma dotati di grande intelligenza ci conosceranno più a fondo di quanto noi conosciamo noi stessi?

Yuval Noah Harari, Homo Deus. Breve storia del futuro, Giunti Editori/Bompiani, 2017

Ci accingiamo quindi – ben consapevoli di aver fatto uno spoiler – alla lettura di questo libro, anche se forse noi, come editori, l’avremmo messo addirittura in quarta di copertina…

 

Il futuro è già qui, è solo distribuito male
William Gibson


1 Abbiamo letto questa cosa da qualche parte, probabilmente nel vastissimo materiale dei WingMakers, forse in William Gibson, o nel sorprendente materiale della Filosofia dell’Apoteosi, anche se pensare di ritrovarne l’origine sarebbe pura follia. Intendiamo perciò scusarci, sin d’ora, con l’incerta fonte.
Scarto temporale, che per certi versi ci ricorda la speciazione di Igor Sibaldi

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Pseudorecensione